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 Se non fossimo certe che la generazione può cambiare, almeno per le future generazioni di donne, non ci resterebbe che il suicidio. AFGHANISTAN - Anno Zero - Ed. Guerini

Silvio 
 Galvagno 

Ora Silvio è in Iraq. 
Lettera 1 - 29 ottobre 2003
                   2 - 3 novembre  
                   3 - 10 novembre 

             4 30 novembre 

Silvio è tornato in Afghanistan e vi resterà per un mese.
Le sue lettere. 
Documento2  1 novembre 02
Documento1  29 ottobre 02
Il 25 febbraio 2002 è partito per Kabul il medico mantese Silvio Galvagno, ortopedico dell'Asl 17.
Da diversi anni presta servizio nel Comitato di Collaborazione Medica, in particolare a Sololo (Kenya), dove ogni anno si reca per un periodo a curare i dimenticati della terra.
E' rimasto in Afghanistan a disposizione di Emergency per due mesi circa ed è ora rientrato.

Le sue lettere...

Vauro


 

 1 2 marzo

Carissimi,
sono arrivato a Kabul senza problemi ieri pomeriggio con il volo Nazioni Unite: dopo aver attraversato, dal Pakistan all'Afghanistan, alte montagne imbiancate di neve simili alle nostre Alpi, arrivo alla piana di Kabul, un altipiano di 1800m d'altitudine di un secco e di una desolazione unica. 

L'aeroporto è fatiscente, relitti di aerei sfasciati e di hanger bombardati tutto intorno, i pochi miseri locali sono senza corrente elettrica, le valigie scaricate a mano, tre mujahiddin, che non parlano inglese, devono metterti il timbro d'ingresso. 

La città è disastrata, mi viene un'angoscia passando tra le macerie e pensando a quello che deve aver subito questa gente, molta senz'altro inconsciamente. 

Le donne in burka camminano come sempre tutte coperte, rigorosamente in azzurro. L'autista che mi porta alle case dell'ospedale, un mujahiddin del Panshir, ha un viso duro come scolpito nella roccia, un uomo anziano secco asciutto nel suo vestito tradizionale, con occhietti freddi che si aprono in un sorriso quando capiscono che vengo a lavorare in ospedale! 

Lui non dice una parola di inglese, ed io non una parola di farsi (l'afgano-persiano) ma in qualche modo ci capiamo lo stesso. 

Il tardo pomeriggio visito l'ospedale di Emergency, un gioiellino nel deserto della miseria che c'è fuori, più di cento letti strapieni di feriti, moltissimi bambini; e subito vengo coinvolto in sala operatoria per alcuni feriti da guerriglia. La sera conosco tutti i nuovi compagni di Emergency, il mitico Gino Strada, un altro chirurgo Alberto Nardini, la medical coordinator inglese Kate, gli infermieri Giuseppe, Matteo, Umberto, l'amministrativa Rossella, il logista Pietro, insomma un bel gruppo affiatato (anche se qualcuno andrà la settimana prossima nel Panshir, ad Anobah). 

La giornata di oggi è stata invece tremenda: a metà mattinata arrivano 19 ragazzini distrutti dallo scoppio di una bomba (tipo cluster-bomb), o di un colpo di mortaio caduto in una scuola, non si capisce ancora bene.

Quello che invece ho capito molto bene è il danno enorme che un simile ordigno può provocare: ferite in testa con pezzi di cervello fuori, bambini che per entrambi le mani, buchi nei polmoni e nella pancia. 
Provo sensazioni che soltanto dopo 12 ore di sala operatoria a riparare, ad amputare, a tentare di ricostruire membra disfatte e bambini mutilati, si possono capire: sensazioni di odio e di maledizione per chi progetta e costruisce questi ordigni, e sensazioni davvero di com-passione (nel senso di patire insieme) per quei ragazzini abbrustoliti dal sole di alta montagna, dallo sguardo atterrito e perso, sporchi e pieni di sangue...
 Continuerò un'altra sera...
 Vi abbraccio tutti quanti.
Silvio


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2  8

Carissimi,
 ieri è stata di nuovo una giornata pesante: il pomeriggio credevo di essere libero, ed invece si è scatenato di nuovo un mezzo inferno. 

Arriva una donna gravemente ustionata da qualche giorno, per lo scoppio di una stufa a kerosene (qui fa ancora sempre freddo ed abbiamo anche noi le stufe accese in casa): gli ospedali di Kabul la rifiutano, non hanno i mezzi per trattarla. 

Poco dopo arriva uno sparato con gravi lesioni al perineo e lesione dell'uretra, seguito da un altro con lesione da kalaschnicov della coscia, aperta in due, con femore sbriciolato, quest'ultimo arriva da Herat, ai confini con l'Iran! 

Alle otto mi metto a tavola. Non faccio in tempo a finire il piatto di pasta che arriva un bambino saltato su una mina, che sta morendo dissanguato per lesione della femorale: finiamo a mezzanotte, non so se l'arto tiene o se bisognerà amputarlo, in più ha gravi ferite al collo, al torace, agli arti, e frammenti di mina dappertutto. 

Certo queste lesioni da guerra non hanno niente a che vedere con le nostre pistolettate: sono lesioni ad altissima energia, che ti distruggono i tessuti a distanza: un proiettile di kalaschnicov nella coscia ti provoca la morte dei tessuti in un'area di
20 cm! Oggi è venerdi, il giorno di festa dei musulmani, non c'è sala operatoria se non per le urgenze. 

Mi copre Gino, mentre due o tre di noi, accompagnati dall'autista vorremmo fare un giro in città (anche perchè in 2 settimane non ho fatto altro che casa-ospedale, mi sembra di essere in prigione). 

Ore 18: sono entrato in sala operatoria alle 9 e sono uscito un'ora fa!!! 

I soliti 4-5 sparati. E il giro in città lo farò poi.

 Devo dire che mi mancate, non sono più abituato a vivere senza ragazzi, senza il casino di Antonio...vi penso sempre la sera, e guardo la foto... Un caro abbraccio ed un bacione a tutti
 Silvio 
e un mazzo di fiori per Tere

 


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3 11 marzo 

Sorobi è un piccolo villaggio ad un'ora di macchina da Kabul,casupole di fango, uomini bruciati dal sole di montagna, qualche asino,pecore e capre.

Una stanza in muratura, residuo di qualche costruzione sovietica, era adibita a scuola: un'aula per una manciata di bambini.

Le scuole in Afghanistan sono ufficialmente chiuse dal 1996 per le ragazze, ma anche per i bambini era più importante saper usare il kalaschnicov e imparare a memoria alcuni passi del corano che non frequentare una scuola. 
Si sente oggi parlare di riapertura dell'anno scolastico a Kabul, ma quali scuole? in quale stato di degrado e con quali insegnanti?

A Sorobi i bambini erano in aula quel mattino del 28 febbraio, non so chi era l'insegnante, forse un maestro di corano, quando all'improvviso c'è stato uno scoppio tremendo ed è stato un inferno.

Una fottuta granata piovuta dall'alto o una maledetta mina portata in aula da un bambino, forse non si saprà mai. 
In questi mesi gli americani sganciavano dai B52 le "cluster-bombs",sfere di 2 metri di diametro che si aprivano ad una certa altezza liberando qualche centinaia di piccole mine che scendevano dolcemente con il loro paracadute, quasi un giocattolo, metà azzurre e metà gialle.
Niente di più bello per un bambino prendersi un giocattolino così e portarlo a scuola.

Nooriallah, 10 anni, frammenti metallici in tutto il corpo, femore sinistro a pezzi e rottura dell'arteria femorale: due ore di intervento, in coma per due giorni; questa mattina durante il giro mangiava una banana,sorrideva e si guardava la gamba ancora viva, e il fissatore esterno che gli blocca il femore. 

Ezat, 9 anni, è stato meno fortunato, ha perso le due gambe, forse era molto vicino allo scoppio, ora gira in carrozzella, fanno le corse in carrozzella lui ed altri amputati: l'Afghanistan su circa 23 milioni di abitanti conta oltre un milione di amputati, moltissimi sono bambini. 
Chiaramente i bambini sono dei pericolosissimi nemici da far fuori.
Oppure Ezat è stato anche lui un "effetto collaterale" della guerra chirurgica! 

Sadef, 10 anni, ha perso la mano sinistra ed ambedue gli occhi, ha il
viso pieno di schegge. 
Forse comincia a realizzare cosa significa non vedere più, è a letto, triste, silenzioso, con una fasciatura che gli copre il viso bruciato. 

A Ziarad una scheggia gli è entrata nel cervello, gli mancavano 2 cm di ossa. Gli è rimasta una piccola paralisi da un lato, ma ora corre allegro per l'ospedale. 

Saliha, una delle poche bambine della scuoletta, aveva tre schegge nell'intestino, se l'è cavata con una resezione intestinale.

E così di seguito, potrei continuare questa monotona cronaca, 19 bambini rimasti handicappati per una fottutissima bomba! 

Questo è l'Afghanistan, ma la gente quasi non ci fa più caso, gli infermieri in ospedale considerano questi casi come da noi gli incidenti automobilistici. 
Ma per quanto si andrà avanti così, se dicono che nel paese ci sono ancora 10 milioni di mine?

Un abbraccio a tutti
Silvio


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4 16 marzo  

La piana dello "shamali" fino a qualche anno fa doveva essere in
bellissimo giardino, un'area pianeggiante estesa per quasi 50 km appena fuori Kabul: vigneti ed alberi da frutto di ogni tipo la rendevano "il giardino dell'Afghanistan" dice qui la gente. 

Una pianura circondata da vette innevate tutto l'anno, le ultime propaggini occidentali dell'Hindukush. 

Lo sguardo si perde in un orizzonte ampio, si respira a pieni polmoni un senso di grandezza, di maestosità. 

Le case erano piccole fattorie isolate, o raggruppate in villaggi di poche persone: abitazioni fatte di fango e sterco, ad un piano, tutte rigorosamente color fango impastato. 

Qualcuna aveva una torretta che la faceva sembrare un castello. L'impressione era di trovarsi in in mondo persiano di molti secoli fa. 

Ho attraversato la piana dello "shamali" di recente per andare nel secondo ospedale di Emergency nella valle del Panshir: lo spettacolo è desolante ed angosciante. 

Non una singola casa intatta, rovine dappertutto, alberi da frutto e vigneti bruciati. 

Per anni qui si sono combattuti taliban e muhejaddin, ed è stata la linea del fronte anche nella recente guerra: dagli inizi di ottobre per un mese tutti i giorni i B52 americani hanno scaricato migliaia di tonnellate di bombe. 

Racconta la gente che la terra tremava quando arrivavano al suolo "pillole" da sette tonnellate di esplosivo.
Tutto distrutto, tutto bruciato.
 Prima dell'arrivo dei taliban la zona era stata minata dai sovietici, ed ancora adesso lunga la strada, unica strada, pietre verniciate di rosso sui bordi segnalano di non uscire dalla pista: pericolo di mine. 

Carri armati sovietici arrugginiti sui bordi della strada ricordano una guerra che dura da anni, quelli dei taliban colpiti dalle bombe americane si riconoscono subito: sventrati e squarciati magari con la torretta sparata a 20 metri. 

Questo che era una volta un paradiso terrestre è ora un deserto, non ci vive più nessuno. 

Arriva qualche sera fa in ospedale un anziano con la lunga barba bianca, un viso scolpito dalla sofferenza, gli occhi azzuri: era saltato su una mina  perché voleva ritornare a vedere le rovine del suo villaggetto: Bagram. 

E' uno dei tanti villaggi con una densità di mine altissima perché in quella zona i russi avevano costruito il più grande aeroporto del paese, una pista lunga 4 km, ora base dei marines americani.

 E lo avevano circondato da migliaia di mine.  Era una mina sovietica: dalle lesioni riconosco ormai la carica esplosiva ed il tipo di mina. Amputato alla coscia a destra, ferite multiple a sinistra, si aggiunge al milione di amputati presenti in Afghanistan.
silvio


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5 16 marzo
Kabul, una enorme distesa di case basse in una conca circondata da montagne, così si presenta la capitale dell'Afghanistan dall'alto: forse 2-3 milioni di persone ma nessuno sa dare stime precise, oggi un misto di pashtun (tra cui molti taleban), di tagiki (i mujaheddin dell'alleanza del Nord), di hazara, i mongoli discendenti da Gengis Khan e Tamerlano. 

Anni di occupazione sovietica hanno lasciato l'impronta nelle costruzioni di cemento tipicamente russe, così come molte persone istruite parlano il russo correntemente; 
in ospedale molti infermieri hanno grandi difficoltà ad esprimersi in inglese, mentre tutti conoscono il russo.

Passeggiando per la città respiri comunque l'odore della guerra, di una lunga guerra che ha devastato questo paese da oltre venti anni: quasi tutti gli edifici portano i segni di proiettili più o meno devastanti, muri crivellati, cornicioni a pezzi, per le strade e marciapiedi cumuli di pietre e buche dappertutto. 

Sembra che nessuno abbia potuto o avuto il tempo di riparare nulla.  

A Kabul esisteva una fabbrica del pane che serviva tutta la città: si vedono gli squarci nei muri di oltre mezzo metro, i razzi l'hanno ridotta ad una rovina fantasma. 

Coco Jalil (il Signor Jalil), un autista dell'ospedale, mi racconta (un pò in inglese un pò in farsi) di quando combatteva contro i russi e poi contro i taliban di Al-Qaeda da un quartiere all'altro, a colpi di mitragliatrice: ha fatto 7 anni di carcere per essere stato partigiano contro i russi. 

 Carthasè era un quartiere di Kabul che rappresentava l'ingresso simbolico alla città, disteso tra due colline incorniciate ancora dalla muraglia costruita dai mongoli di Tamerlano: Carthasè è stata rasa al suole due volte, prima dai sovietici, e negli ultimi mesi dagli americani. 

 L'ho percorsa in auto, adagio, in silenzio: per 12 km non esiste più una casa, solo macerie, polvere, ferri divelti nel cemento armato.

 Non un filo d'erba nè un albero, solo tronchi abbrustoliti e spezzati, auto squarciate come lattine di coca-cola.

 Era un quartiere popolare, nessuna fabbrica, nessuna caserma, solo case, eppure la guerra "chirurgica" lo ha annullato. 

Vedi gente che si aggira in bicicletta, qualche donna in burka a piedi, nessun segno di ricostruzione. 

Trovi proiettili e bossoli dappertutto, i bambini ci giocano, te li vendono, qualche volta ci lasciano anche una mano se ne trovano uno non esploso. 

Per le strade donne coperte da burka sporchi e stracciati e bambini scalzi ti chiedono l'elemosina; un traffico caotico di biciclette e vecchie auto russe e giapponesi spesso senza targa, con autisti senza patente, rende il centro un posto invivibile, ed infatti due e tre investiti per strada arrivano in ospedale tutti i giorni. 

La notte elicotteri a volo radente ed aeroplani continuano a volare, facendo tremare i vetri, segno che le operazione militari continuano. 

Ogni mattina alle 5 vengo svegliato dal muezzin che intona le litanie al microfono in una moschea a qualche centinaia di metri da casa nostra. 

Ieri è stato il capodanno musulmano: anno 1381, cominciando a contare da quando Maometto ha lasciato La Mecca per Medina. Doveva essere una giornata di festa, tranquilla; la gente per strada, si aspetta l'inizio dell'anno scolastico e l'arrivo del vecchio re in esilio da Roma: segni di voler cambiare pagina nonostante tutte le difficoltà. 

Per l'ospedale di Emergency invece è continuata la routine: alle 2 del pomeriggio arriva una manciata di bambini saltati su di una mina. 

Una bambina di 8 anni, Salima, perde la mano sinistra, più ferite alle gambe; un ragazzino ha il polmone bucato da un frammento: quasi un litro di sangue nel cavo toracico; un altro sanguina
per una lesione all'arteria femorale destra ed ha l'intestino bucato da frammenti metallici e così di seguito. 

Finiamo alle 10 di sera lavorando su due sale operatorie. Parlo con alcuni genitori: loro dicono che i bambini sono avvisati sul pericolo delle mine, dove e come sono. 

Del resto Kabul è tappezzata di murales con i disegni delle mine. L'incidente è avvenuto a 8 km da noi, periferia della città, zona minata dai taliban per proteggere un loro accampamento  la notte. 

A casa troviamo risotto e ragù di capra per festeggiare il capodanno: la vita a Kabul continua.


 Silvio


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6 28 marzo
   Soraya è una bambina afghana di 4 anni, respira male quando arriva d'urgenza, quasi ansima sdraiata sulla barella nel nostro pronto soccorso, pallida, lo sguardo spaventato e sofferente: gli infermieri mi fanno vedere un piccolo buco all'emitorace destro, una radiografia conferma un proiettile nell'addome.

    Subito in sala operatoria: lesioni al polmone, diaframma, fegato ed intestino. 
Quando esco dalla sala è già buio, la madre è seduta in un angolo sul marciapiede dell'ospedale, si è tolta il burka, in silenzio, con la testa tra le mani. 

   Soraya viene da Charikar, un grosso villaggio a circa un'ora e mezza da Kabul, nella piana dello Shomali: stava giocando per strada quando la vedono accasciarsi. In quel momento era in corso una sparatoria lontano, dove iniziano le colline: un proiettile di kalaschnicov era arrivato fino a lei, per caso, per una maledetta sfortuna; certamente era un proiettile a fine corsa, altrimenti l'avrebbe spappolata. 

A Charikar Emergency ha aperto un FAP (First Aid Post), un piccolo pronto soccorso dove sono sempre presenti un medico afghano, due o tre infermieri ed un ambulanza a disposizione: è una rete di primo soccorso che stiamo diffondendo in diverse zone lontane da Kabul, e questi centri sono essenziali affinché i feriti gravi giungano in ospedale stabilizzati. 

   Il giorno dopo parlo con la mamma di Soraya: hanno un piccolo negozio sulla strada principale, alcune capre che il figlio più grande porta sulle colline tutte le mattine, un campo fuori dal villaggio, una vita semplice e tranquilla. 

   Il guaio è che a Charikar come in tutto l'Afghanistan, il kalaschnicov ce l'hanno tutti! 
E' l'arma più comune e a buon mercato. 

   Oggi Soraya è seduta al sole, nel giardinetto antistante il repartino di terapia intensiva: gioca con un pupazzetto rosso che non so da dove arriva. 

   Esmatullah e Salim sono due ragazzini di 14 anni, andavano a prendere l'acqua nei pressi dell'aeroporto di Kabul e sono saltati su una mina. Sono arrivati in ospedale su di uno sgangherato vecchio taxi giallo. Salim ha perso un occhio ed ha il viso tutto ustionato, Esmatullah e' stato amputato al ginocchio a destra ed al piede a sinistra, con ferite alle cosce fin sotto ai genitali. 

   Era probabilmente una mina di fabbricazione sovietica, una PMN con carica esplosiva maggiore, 150 grammi di TNT contro i 40 delle mine piu' comuni. 

   Fawod, 18 anni, andava al cimitero appena fuori Kabul. 
Lo vedo dalla mia camera, il cimitero musulmano sul pendio di una collina, tanti tumuli di pietre sparsi, molte bandiere verdi mosse dal vento costante della citta', qualche tomba di personaggi importanti circondata da una piccola ringhiera in metallo con cancelletto. 

   Il padre era morto qualche giorno prima e Fawod lo visitava in occasione del capodanno musulmano. Come e perché c'era una mina proprio lì non si capisce, forse trasportata dalla collina dalle piogge dei giorni precedenti. 

   Anche Fawod viene amputato alla coscia, e resta con ferite invalidanti all'altra gamba. 

Questo e' l'orrore quotidiano della guerra, uno stillicidio continuo, costante tutti i giorni. 

L'ospedale conta cento letti, ed ogni letto e' occupato da bambini, uomini e donne con storie diverse. 

La guerra e' ciò che li accomuna. 

   Ma dietro ad ogni storia ci sono sofferenze e drammi
umani, ci sono persone che restano invalide a vita in un paese dove già e' difficile campare in condizioni normali.


   L'ospedale di Emergency in Kabul e' dotato di un reparto, il reparto B, appositamente per i prigionieri talebani, 15 letti occupati da talebani feriti in questi mesi, uomini dalla lunga barba nera incolta, pasthun di Al-Qaeda dallo sguardo fiero, ma anche anziani che sembrano appartenere ad un antico mondo biblico.

    Alcuni sono stati catturati dai mujaheddin dell'Alleanza del Nord, altri dagli americani: questi ultimi arrivavano con le fascette di plastica da meccanico strette ai polsi, ed un numero di codice, un po' come quando si marchia il bestiame. 

Un ragazzo di 17 anni, Nassib, e' stato colpito da più proiettili, operato su una nave americana e quindi trasportato nelle prigioni di Kabul, stava marcendo in una piccola cella nel seminterrato dove erano in otto, unica luce una piccola finestra in alto. 

  Nassib non ha più l'ano ne' l'uretra, defeca ed urina nel sacchetto che viene cambiato tutti i giorni, l'anca sinistra e' infetta per un proiettile che gli ha passato la testa del femore.

   Gli chiedo cosa sa di Bin Laden: ne ha sentito parlare, niente di più. Combatteva perché i pasthun hanno sempre combattuto contro le etnie del nord, e certamente i problemi non li risolvono gli stranieri: appena gli americani se ne vanno, le ostilità riprenderanno. 

   Ma questa affermazione la sento ripetere un po' dovunque.

 Ieri mattina Nassib mi ha chiesto un quaderno ed una matita,
vuole scrivere, scrive in arabo, si muove sulla sedia a rotelle: sta tornando a vivere. 

Non oso dimetterlo pensando alla cella che lo aspetta. 

   Forse con la Loja Girca, l'assemblea generale straordinaria di oltre 1500 rappresentanti di tutte le etnie afghane che si dovrebbe tenere tra pochi mesi, i prigionieri di guerra verranno liberati, Nassib potrà essere libero, ma sarà sempre un grave invalido in un paese disgraziato.

 Davvero in questa fottutissima guerra non ci sono  ne' vincitori ne'vinti.!

*************

   Situazione terremoto


 Emergency si e' messa a disposizione del Ministero della Sanità afghano: domani partirà un convoglio di cibo, coperte e medicine per oltre 200 milioni di lire, cifra immediatamente approvata dalla sede centrale di Milano. 

Il ministero afghano ci ha anche affidato la gestione delle emergenze nell'ospedale distrettuale di Pol e Homri, il più vicino a Baglam, epicentro del terremoto. 

Una equipe chirurgica partirà probabilmente domani da Kabul per tale ospedale, il chirurgo e' il kurdo Hussein. 

Nel Panshir, l'ospedale di Anabah, sempre di Emergency, è allertato e pronto ad accogliere feriti. 

A Kabul resterò soltanto io, responsabile dell'ospedale, con alcuni giovani chirurghi afghani: nell'ospedale di Kabul dovrebbero arrivare i casi ortopedici o chirurgici più complessi, trasferiti con elicottero o ambulanza. 

Oggi ho dimesso gente e ci sono al momento 23 posti liberi per feriti gravi, penso si tratterà soprattutto di casi di crush syndrome, traumi da schiacciamento con fratture degli arti.

 Tutto questo tenendo sempre presente che continuano ad arrivarci i feriti da guerra!
   Oggi pomeriggio ne sono arrivati 4: con la macchina sono usciti di poco dalla pista - non so perché - e sono saltati su di una mina capottandosi.


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7 30 marzo
Carissimi,
è venerdì  santo, qui è festa come fosse da noi domenica,  sono le 2 di pomeriggio ed oggi spero di essere libero. 

In realtà  il piazzale d'ingresso dell'ospedale si è trasformato in un grande magazzino dove vengono caricati camion per i terremotati: latte in polvere, zucchero, biscotti, coperte, medicine. 

Decine di persone tra operai e malati che fanno pacchetti, imballano, caricano. I primi camion dovrebbero partire nel pomeriggio.

   Domani sapremo se servirà anche un team chirurgico, o se basterà occuparsi di punti di pronto soccorso (cosa che richiederà solo infermieri). 
Devo ammettere che la risposta di Emergency è stata immediata e concreta: nel giro di 24 ore sono stati comprati beni di prima necessità per oltre 200 milioni di lire andando in tutti i magazzini di Kabul, ed oggi pomeriggio stanno partendo. 
Il viaggio durerà circa 12 ore.


 Ieri sera verso le 9 un'ambulanza di Emergency  porta i soliti due bambini saltati su di una mina da Gardez, il luogo degli ultimi combattimenti dell'operazione "anaconda": 9 e 11 anni, il primo con una scheggia in addome, è bastato suturare lo stomaco. 

Il secondo con una grave frattura esposta cranica: aveva un grosso buco in fronte da cui uscivano pezzi di cervello e grumi di sangue delle dimensioni di un limone. 
Il bambino era anemico ed in coma. 
Dopo la pulizia chirurgica mancava una fetta di cervello: ho detto al padre che sarebbe stato un miracolo se sopravviveva.

 Incredibile: stamattina era cosciente, rispondeva a tono e muoveva gambe e braccia! 
Ora speriamo solo che non gli venga la menengite, visto che la lesione era molto sporca.

    Dopo domani è Pasqua, anche se qui sarà difficile "sentirla"; comunque la primavera è cominciata anche a Kabul: ho visto per strada i primi banchetti ambulanti che vendono piantine di gerani e altri fiori. Seduti per terra si vedono bambini con ceste di uova di gallina colorate: sono in qualche
modo uova pasquali, senza tanto consumismo di contorno.

 Un abbraccio a Tutti,

 Buona Pasqua
 Vi penso   Silvio


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8 4 aprile
   Talef era un grosso villaggio a 2000 m. d'altitudine sulle propaggini dell'Hindukush, una posizione magnifica da cui si domina tutta la piana dello Shomali, piante da frutto e rigagnoli di acqua dappertutto. 

Ora è un villaggio fantasma, ridotto a cumuli di macerie, bruciato casa per casa dai Taliban: camminiamo lentamente per la strada principale, sembrano le rovine di Pompei, nessuna bomba è arrivata quassù, è bastato soltanto un incendio meticoloso, accurato, che non ha lasciato intatta una sola abitazione. 

Per arrivare a Talif si attraversa una  pianura ora arida e spoglia: ci fermiamo per parlare con alcuni ragazzi che lavorano ad un pozzo improvvisato. 
   Ci raccontano che dalla montagna scendono centinaia di canali sotterranei naturali di acqua: la gente aveva scavato pozzi per irrigare i campi, i Taleban prima della ritirata li hanno riempiti tutti di enormi pietroni, addirittura trasportati con i camion, così come hanno tagliato gli alberi da frutto lungo la strada: tutto questo per affamare le popolazioni Tagike della zona. 

   Sulla strada vedi ogni tanto dei container squarciati dal di dentro: ti dicono che i Taliban li riempivano di prigionieri Mujaheddin e poi, attraverso un foro in alto, ci buttavano dentro una granata! Una morte orribile. 

Perchè tutto questo? Perchè i Taliban - ci dicono sempre questi ragazzi - che sono Pashtun provenienti dal Pakistan, non vogliono che noi Tagiki abbiamo delle cose belle come questi campi irrigati, questi alberi da frutta, queste nostre case sulle colline. 

Questi ragazzi non potranno mai perdonare ciò che stanno vivendo: la guerra è anche questo.

   In mezzo alle macerie di Talif tre ragazzi stanno lavorando in un negozietto riattato alla meglio: il più piccolo gira la ruota del mantice per tenere viva la brace, gli altri due battono e forgiano il ferro ardente: avranno non più di 13-14 anni. 

E' un segno di ricostruzione, è un segno che la gente a poco a poco sta ritornando nei propri villaggi. 

   Emergency ha deciso di impiantare al più presto a Talif un FAP (First Aid Post), un piccolo pronto soccorso con un medico afghano ed alcuni infermieri del posto: si deve rimettere in sesto una vecchia fatiscente struttura russa di 2- 3 camere. 
Servirà per stabilizzare i casi gravi (il ferito da mina ad esempio) permettendone il trasporto urgente in ospedale, e farà anche da ambulatorio per tutta la gente della montagna.

   Il "commander" Mujaheddin ci riceve con grande ospitalità: sul tetto piatto di fango e paglia della casa ci sediamo, senza scarpe, su di un magnifico tappeto persiano, ci viene servito pesce fritto con mandorle zuccherate.
Il comandante ci racconta la sua guerra con i taliban: c'è un grande odio nelle sue parole e mi viene in mente il buskasci.

 Il buskasci è un tipico gioco afghano originario della Mongolia: due squadre di 12 cavalieri su bellissimi cavalli mongoli si contendono una capra a cui è stata tagliata la testa. E' come il gioco del polo, ma molto più violento e la palla è la capra mozza.

   Mi trovo a pensare come la capra sia il popolo afghano: tutti hanno giocato con questa gente, gli inglesi, i russi, i pakistani con i vari Bin Laden del momento, ora gli americani. 

Quando finiscono il gioco, lasciano un popolo devastato e mutilato nel corpo ma soprattutto nell'anima.


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9 10 aprile
Carissimi tutti,
 davanti a casa nostra pochi giorni fa hanno chiuso due case, piuttosto malandate, che erano continuamente frequentate da  un mucchio di gente: sembrava un qualche ufficio. 

Due o tre ragazzini con il solito kalashnikov le presidiavano giorno e notte, ma questo è abbastanza comune. Un mattino presto, verso le cinque, arriva la polizia con armi pesanti ed arresta tutti quanti gli abitanti, sigillando le case e presidiandole ora giorno e notte.
> Veniamo poi a sapere che era un covo di Al-Qaeda che cospirava contro il governo ed era in collegamento con i pakistani tuttora attivi sul confine (tanto per intenderci, quelli del recente attentato al ministro della Difesa di qualche giorno fa). 

Vengono arrestate circa 160 persone. Un grosso camion, che da settimane era posteggiato proprio davanti alla mia
finestra, ci dicono che conteneva granate, lanciarazzi e altri oggettini del genere.

 Questi erano i nostri vicini di casa!
 Ieri sera mi chiamano in ospedale verso le 9 per una triste storia. Due fratelli stavano viaggiando su uno di quegli sgangherati taxi, tipici di tutto il terzo mondo, arrivavano dalle montagne dell'Hindokush ed erano diretti in Pakistan. 

Erano due fratelli soli, avevano perso la famiglia in un terremoto di qualche anno fa. Il fratello maggiore, un uomo adulto, stava accompagnando Hussein, che avrà 15 anni, handicappato per una forma grave di poliomielite, diretti verso uno dei santuari pakistani dove speravano nel miracolo della guarigione. All'uscita della galleria, sul passo di Salang, ad altre 3000 metri, un masso crolla proprio mentre il taxi passa: l'auto viene schiacciata, i due fratelli vengono caricati su di un'altra vettura di passaggio.

 Hussein riporta ferite minori, il fratello giunge in ospedale morto, dopo due ore e mezza di viaggio. Ma Hussein ieri sera continuava a chiedermi notizie del fratello, non sa ancora che è rimasto da solo, handicappato, su di una carrozzella: suo fratello per lui era la vita, il viaggio in Pakistan doveva essere il futuro per lui.

 In ospedale la maggior parte del personale delle pulizie è formato da handicappati, mutilati senza una gamba o senza mani, c'è che è incaricato dei fiori, che rammenda sulla sedia a rotelle, senza gambe; chi pulisce il pavimento passando uno straccio senza mani, usando due monconi di avambraccio, e così via. 

Ci sarà posto anche per Hussein nel nostro ospedale!
 Un caro abbraccio a tutti

 Silvio


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10 22 aprile
   Qualche sera fa è di nuovo stata una maledetta nottata passata in sala operatoria.
Alle 7 l'ambulanza di Emergency porta 3 fratelli con diagnosi di "lesioni da mina".
 
 Il primo che vedo è un ragazzino di 7 anni: è orribile, ha il viso sfigurato, naso e bocca sono irriconoscibili, perde sangue dal retto, il braccio sinistro e la mano destra sono a pezzi, ma è vivo. Il fratello di 13 o 14 anni ha una scheggia nel cervello, è cosciente, oltre a ferite minori.

 Il terzo, un uomo sui 20 anni, respira con difficoltà, 2 schegge nel collo ed una nella guancia trapassante bocca mascella e naso.  Stavano coltivando il campo sulle colline di Charikar, villaggio sulla linea del fronte durante la guerra tra Taliban e Mujheaddin, zona dei bombardamenti americani tra ottobre e novembre scorso.

 L'infermiere racconta che con la vanga girando una zolla il maggiore ha scoperto una specie di grosso proiettile inesploso lungo almeno 30 cm e subito è successo l'inferno.

 In sala operatoria siamo pronti ad operare il bimbo, c'è silenzio totale perché tutti ne capiamo la gravità, ma il battito cessa prima di iniziare l'intervento, la rianimazione è inutile. 
Akbar, giovane chirurgo afghano, mi guarda negli occhi: "These things will happen for a long time in Afghanistan", queste storie capiteranno ancora a lungo in Afghanistan, mi dice. 

Andiamo avanti con gli altri due fratelli, in silenzio, con la rabbia dentro.  Dicono che con la guerra "chirurgica" solo gli obiettivi militari sono colpiti, dicono che la guerra è giusta per fermare il terrorismo, dicono che qualche "effetto collaterale" è inevitabile e tante altre fottutissime frasi fatte, da benpensante seduto in poltrona davanti alla TV. 

Ma finita la guerra spettacolo, nessuno pensa che i 10 milioni di ordigni inesplosi in Afghanistan continueranno a martoriare questa popolazione per decenni, nessuno dice che ormai nelle guerre di oggi più del 90 per cento delle vittime sono civili.

 Nessuno dice che le mine sparse sono armi da distruzione di massa al rallentatore: lo vedo ogni giorno in ospedale, questo stillicidio continuo di bambini, giovani o vecchi che arrivano a pezzi. 

Nessuno dice che spargere le mine con gli elicotteri come fossero caramelle, o giocattolini per bambini, è un atto di terrorismo, perché più nessuno è libero di andare nel campo a coltivare, o a prendere l'acqua fuori dalla strada principale.

 L'Afghanistan soffre di quello che si può considerare un vero e proprio "inquinamento da mine".

 Il fratello più grande si esprime con difficoltà, la tracheostomia gli impedisce di parlare (del resto le schegge nel collo gli avevano procurato una tale emorragia che, senza tubo in gola, sarebbe morto soffocato), ma inizia a bere ed a muoversi. L'altro fratello, con la scheggia nel cervello, è fuori pericolo. 

Venerdì  - festivo per il mondo musulmano - ho voluto percorrere la strada che fanno questi disgraziati per arrivare al nostro centro chirurgico: un'ora e mezza di una pista costruita dai russi, incassata e tortuosa in una profonda gola selvaggia dove scorre un piccolo torrente. 
 Un paesaggio allucinante, duro, da sport estremo con fuoristrada da cento milioni: peccato che viaggiare su di uno sgangherato pulmino wolksvagen (l'ambulanza), o peggio ancora su di un vecchio taxi giallo, non sia proprio una delizia, specie se hai una gamba a pezzi e sanguini dappertutto. 

Gli scossoni, le buche, le curve ...pensavo al viaggio dei tre poveretti, al dolore ad ogni scossone, solo per la sfiga di essere nati in un paese minato!
 Silvio


Il ritorno di Silvio...
Ritorno di Galvagno
 

La straordinaria esperienza vissuta in Afghanistan dal medico ortopedico Silvio Galvagno, che lavora al Santissima Annunziata di Savigliano,  è diventata  libro. 
Nell’inferno di Kabul – Testimonianze di un chirurgo di guerra”
con prefazione del fondatore di Emergency Gino Strada e postfzazione di monsignor Diego Bona, presidente nazionale di Pax Christi.

Curato dal giornalista Alberto Burzio, 
il libro (Edizioni Primalpe - Costanzo Martini, 56 pagine, 5 euro) 

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