FILODEMO ACRATICO
Il Conte Filodemo Acratico era
molto decaduto.
Aveva dovuto vendere il latifondo di Platipìmeni,
che non aveva mai saputo amministrare. Aveva sbagliato tutti gli
investimenti. Aveva ipotecato la magione avita di Chelonòpodi, dove era
nato e cresciuto.
Infine (“Numquam querulus, decus fortitudo”
recitava lo
stemma di famiglia) aveva di buon grado accettato la supplenza
annuale nel liceo di provincia.
Tutta l’aristocrazia storceva il naso.
Ma il Conte Filodemo Acratico era molto
contento.
Poteva finalmente riandare le vie il pensiero
ed i sogni di molti uomini.
Gliene veniva un senso di lucente libertà,
come quella delle
pecore che aveva visto assopirsi presso l’antica fonte di
Platipìmeni.
Per un orcio di gioia, però, gli dèi ci mandano in
sorte almeno due orci di pene.
A Filodemo Acratico toccò in sorte la classe Terza
B.
Una classe terribile.
Quel mattino entrò nell’aula e, dietro le spesse
lenti, scorse un turbinare di mani di denti di corpi. I colori e le voci
rimbombavano sotto le volte bianche del vecchio edificio.
Non si scoraggiò. Anzi, era lieto: lo attendeva la
sua lezione
preferita.
Disse: “Ragazzi, oggi, almeno oggi, state buoni.
Oggi
parleremo del grande Lucrezio. Gli dèi sanno quanto ne avete
bisogno. Non tirate calamai contro il muro, non sfiguratevi a
pennate... . sù, non tormentate il povero Moschioni”.
Moschioni, dalla prima fila, contentissimo, gli
sorrideva
sdentato.
“Lucrezio
dunque!”.
Guardò fuori della finestra aperta sul cielo di
maggio. Sul
davanzale, attento, un passero aspettava la lezione.
“Poggiate le mani insipienti contro il petto
fraterno di
Lucrezio.
Sciogliete l’ostilità del vostro cuore
al sole della nuova fede”.
Risuonò un grugnito
strozzato. Bacarozzi era stato colpito da
una cinghiata in bocca.
“Diffidate delle legioni degli uomini che muovono senza mèta:
vogliono guerra.
Un fascio di libri sibilò cadendo con un tonfo per
la strada sottostante.
Disdegnate gli osceni sorrisi degli uomini pubblici.
Come la
vita di Turno ucciso, fuggite indignati sotto le ombre del bosco
sacro”.
Il Conte Fiodemo
Acratico sorrideva luminoso.
L’ululato di Moschioni accompagnò il suo
volo al seguito dei libri.
“Abbandonatevi al sorriso prodigioso della dea erotica…”.
Il calamaio di vetro massiccio lo colpì alla tempia. Stramazzò al
suolo.
Quando fu steso per terra vide
ancora un aereoplanino con
un’ala rossa ed un’altra blu planare davanti al suo naso.
Gliel’aveva lanciato Lucrezio.
A bordo dell’aereoplanino atterrò sull’altra
sponda. |