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Giovanni Bonavia Rodolfo Allasia

   Mezza  Penna  Rigata  di Rodolfo  Allasia

3

  FILODEMO ACRATICO

     Il Conte Filodemo Acratico era molto decaduto.

     Aveva dovuto vendere il latifondo di Platipìmeni, che non aveva mai saputo amministrare. Aveva sbagliato tutti gli investimenti. Aveva ipotecato la magione avita di Chelonòpodi, dove era nato e cresciuto.

      Infine (“Numquam querulus, decus fortitudo” recitava lo

stemma di famiglia) aveva di buon grado accettato la supplenza

annuale nel liceo di provincia. 

     Tutta l’aristocrazia storceva il naso.

     Ma il Conte Filodemo Acratico era molto contento. 

     Poteva finalmente riandare le vie il pensiero ed i sogni di molti uomini. 

     Gliene veniva un senso di lucente libertà, come quella delle

pecore che aveva visto assopirsi presso l’antica fonte di

Platipìmeni.

      Per un orcio di gioia, però, gli dèi ci mandano in sorte almeno due orci di pene.

      A Filodemo Acratico toccò in sorte la classe Terza B.

Una classe terribile.

      Quel mattino entrò nell’aula e, dietro le spesse lenti, scorse un turbinare di mani di denti di corpi. I colori e le voci rimbombavano sotto le volte bianche del vecchio edificio.

      Non si scoraggiò. Anzi, era lieto: lo attendeva la sua lezione 

preferita.

      Disse: “Ragazzi, oggi, almeno oggi, state buoni. Oggi 

parleremo del grande Lucrezio. Gli dèi sanno quanto ne avete 

bisogno. Non tirate calamai contro il muro, non sfiguratevi a 

pennate... . sù, non tormentate il povero Moschioni”.

      Moschioni, dalla prima fila, contentissimo, gli sorrideva 

sdentato.

    “Lucrezio dunque!”.

       Guardò fuori della finestra aperta sul cielo di maggio. Sul 

davanzale, attento, un passero aspettava la lezione.

      “Poggiate le mani insipienti contro il petto fraterno di 

Lucrezio. 
      
      Sciogliete l’ostilità del vostro cuore al sole della nuova fede”.

   Risuonò un grugnito strozzato. Bacarozzi era stato colpito da 

una cinghiata in bocca.

   “Diffidate delle legioni degli uomini che muovono senza mèta: vogliono guerra.

      Un fascio di libri sibilò cadendo con un tonfo per la strada sottostante.

      Disdegnate gli osceni sorrisi degli uomini pubblici. Come la 

vita di Turno ucciso, fuggite indignati sotto le ombre del bosco 

sacro”.

      Il Conte Fiodemo Acratico sorrideva luminoso.

      L’ululato di Moschioni accompagnò il suo volo al seguito dei libri.

  “Abbandonatevi al sorriso prodigioso della dea erotica…”.

  Il calamaio di vetro massiccio lo colpì alla tempia. Stramazzò al suolo.

    Quando fu steso per terra vide ancora un aereoplanino con 

un’ala rossa ed un’altra blu planare davanti al suo naso.

      Gliel’aveva lanciato Lucrezio.

 

A bordo dell’aereoplanino atterrò sull’altra sponda.


2

IL  PROMONTORIO  E  IL  MARE

  Un uomo stava seduto all’estremità d’un promontorio.

   Guardava il mare.

Pensava: “Vorrei saper parlare con gli altri uomini. Parlo solo coi 

delfini, coi cavallucci e le stelle marine abbando­nate sugli 

scogli”..

    Dietro di lui s’era raccolta una piccola folla.

  Tutti pensavano: “ È da tanto tempo che quest’uomo medita il mare. Dev’essere un mistico, un sapiente, un santo”.

  Il  promontorio pensava: “ Quanto siete cretini, voi e lui !”.

  Il mare intanto piangeva in silenzio, così, perché non aveva un compagno.

  Nessuno se ne accorgeva.

  Non si può mai capire quando il mare piange.


1

IL GRANDE POETA

       Il Grande Poeta stava passeggiando nel parco.

Aveva cantato tutto.

     Aveva cantato la dea callipigia, la rosa frigia, Giunone sull’Ida, il Gelato Algida e la Costa Smeralda.

     Ed ora era stanco.

    Infinitamente stanco.

     Si guardò attorno.

  Nessuno lo seguiva.

      Svoltò in un sentiero dimenticato.

Diventò un albero, ed ora è più contento.

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